Breve storia della Guardia alla Frontiera, corpo ormai dimenticato del Regio Esercito, custode e difensore dei confini del Regno d’Italia dal 1934 al 1943.
Al termine del primo conflitto mondiale, tutte le nazioni coinvolte nel conflitto, diedero molta enfasi all’attività fortificatoria in generale, ed quella delle opere fisse in particolare, che si sarebbero dovute dislocate lungo tutte le linee di confine dei singoli stati. La Francia, in particolare, realizzò la linea “Maginot”, che passerà alla storia come la più grande opera fortificata mai costruita, mentre la Germania realizzò la contrapposta linea “Sigfrido”, più spartana e più essenziale della prima, in quanto inglobata e complementare al più vasto progetto offensivo del nuovo contesto strategico-militare imposto dal neo costituito regime nazista. In Italia, invece, venne concepito ed approntato il “Vallo Alpino del Littorio” che rispecchiava i nuovi orientamenti di politica estera e militare del regime fascista muscolari di politica estera e militare del regime fascista nel duplice intento di rafforzare sempre più il sistema difensivo delle frontiere, in particolare quelle alpine, e di garantire, in caso di azione offensiva, un adeguato supporto di fuoco alle unità di manovra (appiedate, meccanizzate o motorizzate) operanti sulle principali direttrici di attacco e vie di facilitazione, come strade di alta quota, colli e valichi. Il progetto comprendeva un ampio semicerchio, che avrebbe dovuto coprire, attraverso le varie tipologie di opere costruite nel corso degli anni trenta, tutto l’arco alpino, dispiegandosi da Ventimiglia in Liguria a Fiume sull’Adriatico. L’unico tratto di confine non interessato ai lavori del nuovo pian o fortificatorio fu quello con la svizzera, in quanto già esistevano delle opere risalenti alla prima guerra mondiale (prevalentemente forti, trinceramenti, una fitta rete di strade e mulattiere di servizi e depositi) ed inseriti in quella che allora fu la cosiddetta “Linea Cadorna”.
SETTORI DI COPERTURA (confine alpino) (circ. 3898 del 17 giugno 1935 – ripartizione dell’intera fascia di frontiera)
L’organizzazione e la struttura del Vallo Alpino erano articolate su tre distinte zone operative:
- “Zona di Sicurezza”: riguardava la prima linea di fortificazioni ed era composta da capisaldi e gruppi di capisaldi, osservatori e centri di fuoco avanzati che avevano il compito di presidiare la primissima porzione di frontiera lungo il confine, prevenendo eventuali azioni di sorpresa da parte nemica (ad esempio infiltrazioni di pattuglie da ricognizione e/o di combattimento) e mantenendo, al tempo stesso, le posizioni possedute.
- “Zona di Resistenza”: era arretrata rispetto alla prima, ma munita di grosse opere, in grado di resistere isolate per diverso tempo anche se aggirate. Queste tipologie di strutture erano provviste di locali per l’alloggiamento del personale di presidio (ricoveri), di servizi sotterranei (posti comando, depositi munizioni, locali per i generatori di corrente elettrica , sistemi di ricircolo dell’aria, cisterne di acqua potabile etc.), nonché di numerose postazioni in casamatta asservite, per la condotta del tiro, da uno o più osservatori. Inoltre, lungo le principali vie d’accesso e facilitazione in prossimità di colli e valichi di confine e lungo i fondo valli , erano stati costruiti ostacoli e fossati anticarro, per ritardare l’avanzata e facilitare, così, il tiro delle artiglierie in fortezza al fine di incanalare le eventuali azioni offensive nemiche.
- “Zona di Schieramento”: era, infine, la zona in cui si dovevano radunare le truppe in caso di mobilitazione generale ed era composta, normalmente, dai depositi e dai magazzini di settore con compiti di rifornimento e supporto logistico alle unità di manovra.
Cupola corazzata per mitragliatrice (Colle del Moncenisio) e malloppi di un “opera tipo “15000” (Valle Stura)
Dapprima e fino agli inizi degli anni 30 la vigilanza e la difesa del confine alpino erano affidate alla Regia Guardia di Finanza, ai Carabinieri Reali, alla neo costituita Milizia Confinaria ed ai reparti d'alpini: a quest’ultimi venne affidato anche il compito di presidiare le nuove opere difensive della fortificazione permanente, allora in corso di progettazione e realizzazione lungo tutto l’arco alpino.
Queste nuove attribuzioni erano in contrasto con le dottrine d'impiego di quel tempo che prevedevano l'utilizzo delle grandi unità alpine (nel frattempo riorganizzate in divisioni) ovunque la necessità lo richiedesse, essendo, le stesse, idonee a svolgere azioni di carattere dinamico tipiche dei reparti di fanteria leggera, specie se di montagna. Questa incongruenza, che imponeva a reparti dotati di elevata mobilità, come quelli alpini, di provvedere ad un servizio essenzialmente statico, venne fatta osservare dal comando superiore alpino allo Stato Maggiore del Regio Esercito (S.M.R.E.) e dopo innumerevoli studi, progetti e relazioni nacque, nel 1934 (anche se il Regio Decreto Legge di istituzione ufficiale fu il n. 833 del 28 aprile 1937), il nuovo corpo del Regio Esercito denominato Guardia alla Frontiera (G.a.F.) comprendente reparti di fanteria, di artiglieria, del genio e dei servizi. Immediatamente a ciò, il Capo di Stato Maggiore dell'Esercito dispose anche la trasformazione di cinque reggimenti di artiglieria d'armata in Reggimenti di Artiglieria G.a.F., da inquadrarsi all’interno dell’ organico del corpo. Ad esso furono assegnate tutti i previsti assetti logistici ed amministrativi indispensabili per assolvere i compiti operativi affidati. Inoltre furono costituite compagnie e battaglioni di mitraglieri da posizione con il compito di integrare e difendere i tratti di confine privi della fortificazione permanente o non battuti dalle armi di medio/grosso calibro delle opere presenti.
La struttura ordinativa della G.a.F. era costituita da un Comando Guardia alla Frontiera, presso ogni Comando d'Armata competente per territorio: da esso discendevano i “Settori di Copertura ”, nel numero di 27 (numerati dal I° al XXVII°), e responsabili del tratto di confine a loro assegnato ed i “Sottosettori”: questi, a loro volta, erano costituiti da “Gruppi di Capisaldi”, “Capisaldi” ed unità minori. Le opere fortificate di settore erano presidiate ed attivate , come abbiamo visto, da unità di fanteria, di artiglieria e dai reparti del genio, nonché da artiglierie settoriali di vario calibro. Nelle retrovie, ed in particolare nelle zone di schieramento erano costituiti ed operavano i depositi ed i magazzini con compiti di approvvigionamento e supporto logistico delle unità operative. Da alcuni Comandi G.a.F. dipendevano direttamente “Reggimenti e/o Raggruppamenti di Artiglieria” ordinati ed equipaggiati in modo da poter rapidamente integrare le artiglierie dei singoli settori di copertura.
Pur essendo un corpo con compiti prettamente statici, la G.a.F. inquadrava anche 5 compagnie di “Carristi di Frontiera” articolate in: gruppi “Sempre Pronti” normalmente assegnati ai settori di copertura, gruppi di “Approntamento Accelerato” e gruppi di “Approntamento Normale”.
Carro armato “Fiat 3000”
La Guardia alla Frontiera espletò il suo servizio di presidio anche nei territori e nei possedimenti d'oltremare:
Albania :
- I° con sede a Scutari su tre battaglioni, una compagnia carrista di frontiera, un reparto genio e servizi;
- II° “Kossovo” con sede a Puka, su un battaglione ed un battaglione mitraglieri da posizione;
- III° con sede in Pescopia su due battaglioni G.a.F., un battaglione mitraglieri da posizone;
- 13^ Reggimento Artiglieria G.a.F.
Durante il conflitto, la struttura assunse nuove denominazioni e cedette alcuni reparti al Comando Truppe Montenegro e al Comando Superiore delle Forze Armate in Grecia.
Casamatta costiera per artiglierie di medio calibro
Libia occidentale:
- Comando G.a.F. del XX Corpo d'Armata a Tripoli da cui dipendevano i seguenti settori di copertura, articolati su Depositi settoriali, sottosettori di copertura, Raggruppamenti d'artiglieria, battaglioni mitraglieri e reparto genio e servizi:
- XXVIII con sede a Zuara;
- XXIX con sede a Nalut;
- XXXIII con sede a Zanzur;
- XXXIV con sede a Sidi Bel Aadem;
- XXXV con sede a Castel Benito;
- Piazza fortificata di Tripoli.
Libia Orientale :
- Comando G.a.F. del XXI Corpo d'Armata a Tobruk da cui dipendevano i seguenti settori di copertura ordinati e strutturati nella esatta identica fisionomia del fronte libico occidentale:
- XXXI con sede a Tobruk;
- XXXII con sede a Bardia;
- Piazza fortificata di Tobruk;
- Piazza fortificata di Bardia.
Non si hanno, invece, notizie circa la formazione e la costituzione di reparti G.a.F.nei territori dell’ A.O.I.
Lo sforzo, per chiudere “ermeticamente” la frontiera, specialmente quella alpina, fu enorme, considerate le difficoltà d'approvvigionamento delle materie prime e dei materiali in ragione delle sanzioni, imposte al regime dalla Società delle Nazioni, a seguito della invasione dell’Etiopia. A maggio del 1939, dunque un anno prima dell'entrata in guerra dell’Italia, la progressione dell’attività fortificatoria del Regno d’Italia può essere così sintetizzata:
- Fronte Occidentale :460 opere già efficienti con 1.100 mitragliatrici e 133 pezzi di vario calibro installati (batterie in caverna e pezzi anticarro). Altrettanto armamento doveva essere distribuito nel corso dell'anno per le nuove opere da costruire e precisamente furono assegnate 300 mitragliatrici, 280 mortai, 58 batterie, di cui alcune di grosso calibro ed a lunga gittata, idonee a condurre tiri d'interdizione sui principali centri d'affluenza/ammassamento nemici, ovvero, sugli itinerari di passaggio obbligati, come strade, valichi e colli.
- Fronte settentrionale: 161 opere già efficienti con 336 mitragliatrici e 39 pezzi. Era prevista la consegna, nel secondo semestre, di 50 mitragliatrici, 108 mortati e 31 batterie di vario calibro;
- Fronte orientale:308 opere già efficienti con 647 mitragliatrici e 50 pezzi, con in corso di consegna 564 mitragliatrici, 114 mortai e 49 batterie di vario calibro.
All'inizio del secondo conflitto mondiale, e con l’entrata in guerra dell’Italia nel giugno 1940, la Guardia alla Frontiera poteva disporre complessivamente di ventimila uomini suddivisi tra i reparti di fanteria, artiglieria e genio e circa mille opere. Per quanto riguarda l’armamento, leggero e pesante, si potevano contare seimila mitragliatrici, quattrocentosessantadue mortai di vario tipo, duecentoventidue cannoni di vario calibro e centotrentotto batterie di vario calibro dotate di artiglierie residuate dalla Grande Guerra o di preda bellica austriaca.
A sx. l’uniforme mod. 1934 e a dx. quella da guerra mod. 1940 , rispettivamente de reparti genio e fanteria GAF
Cappello all’alpina “vidoa”
Il reclutamento del personale destinato al nuovo Corpo, per non incidere su quello destinato alle truppe alpine, avveniva in qualunque altro Distretto Militare. I requisito fondamentale era però quello che i militari dovevano possedere profili psico-fisici e sanitari identici a quelli per essere arruolati nelle truppe alpine. E’ per lo meno singolare la circolare del Ministero della Guerra n. 18.559 del 6 settembre 1934 che escludeva dall'assegnazione presso la Guardia alla Frontiera i militari alloglotti appartenenti ai Distretti Militari di Trieste, Pola, Gorizia, Bolzano, Udine, e Ancona: probabilmente questa disposizione aveva come obiettivo quello di cautelarsi da eventuali azioni di spionaggio da parte dei paesi confinanti che potevano avvalersi delle informazioni sui piani dell’attività militare in generale e fortificatoria in particolare. Al personale era imposto un addestramento tipico di specialità alpina con marce su terreni impervi di media ed alta montagna, l’ uso dello sci, l’ arrampicata su roccia ed infine una vita di guarnigione spartana e ridotta all'essenziale, proprio perché particolarmente condizionata dal trascorrere del tempo all’interno delle opere fortificate , che non brillavano certamente per salubrità e confort, e dallo stanziare, quasi permanentemente in montagna, spesso in condizioni climatiche molto severe: un esempio per tutti: la 515^ batteria del VII Settore di Cesana Torinese che presidiava stabilmente il forte Chaberton (dal nome delle montagna sul quale sorgeva e sorge ancora a distanza di più di cento anni dalla sua costruzione), nel settore del Monginevro, a 3.131 mt.
Il personale impegnato e destinato all’ attivazione delle opere, durante i turni di riposo dal servizio attivo, poteva essere accantonato in ricoveri e/o casermette, costruite a poca distanza dal linea di confine, e collegate tra loro e con le singole opere da una fitta rete stradale e di mulattiere progettate e costruite dal Genio Militare fin già dalla fine dell’ottocento ed ampliata durante gli anni trenta, in occasione del nuovo impulso fortificatorio del confine alpino. L’uniforme per il personale della Guardia alla Frontiera era quella prevista per la fanteria, l’artiglieria ed il genio con i fregi delle armi e specialità originarie, con ricami dorati per Ufficiali e Sottufficiali, ed in rayon nero per graduati e truppa.
Nel 1938, tenuto conto delle impervie zone montane in cui la G.a.F. operava fu distribuito l'equipaggiamento pesante tipico delle truppe alpine con giacca monopetto a quattro bottoni portata su una camicia con cravatta grigio verde, una camicia di lana ”autarchica” con farsetto a maglia, pantaloni di taglio floscio alla zuava fino a sotto il ginocchio, fermati dalle celeberrime, ed al tempo stesso massacranti, fasce mollettiere, calzettoni di lana, scarponi con chiodatura. Successivamente furono fornite anche calzature pesanti, cappotto di panno, zaino alpino, guanti di lana, e ghette. Con la circolare n. 548 del 25 luglio 1940 fu disposto l'adozione di una uniforme da guerra, prevista per tutte le categorie, ufficiali, sottufficiali e militari di truppa che per foggia e panno era quella già in distribuzione alla truppa. Questa nuova uniforme, denominata mod. 1940 (adottata con foglio d’ordini n.121 del 29 aprile 1940), come per gli altri corpi del Regio Esercito andò ad a sostituire il vecchio modello 34, sicuramente più elegante e marziale, ma meno adatto alla via operativa in prima linea. Concludeva il corredo un cappello alpino, senza penna (ecco da qui l’appellativo di “Vidua”, ironicamente attribuito dagli alpini ai militi della G.a.F.), con nappina laterale in lana senza numero, con parte centrale color verde e striscia periferica del colore dell'arma di appartenenza (rosso scarlatto per la fanteria, giallo arancio per l'artiglieria, cremisi carico per il genio e in metallo dorato per Ufficiali e Marescialli). Lo scudetto divisionale, portato sulla manica sinistra della giacca era su fondo verde, caricato di un gladio romano recante il numero del Settore espresso in cifre romane. Lo scudetto era in ricamo dorato per gli Ufficiali e per i Marescialli, ed in rayon per il rimanente personale. Ampia diffusione ebbero, tra l’altro, i distintivi a spilla dei Settori e dei Sottosettori di appartenenza. L'armamento individuale era quello classico della fanteria con pistola Beretta M 34 per Ufficiali e Marescialli, fucile mod.91 con baionetta per la truppa e moschetto 91/38 per gli incarichi speciali (artiglieria e genio, ovvero, compagnie carriste di frontiera). Terminavano l’equipaggiamento individuale il cinturone con fondina in cuoio marrone, con cinturino, per gli Ufficiali e Marescialli, le giberne con cinghia di sostegno, per la custodia dei pacchetti caricatori del fucile mod. 91 la borraccia in alluminio, l’ elmetto metallico mod. 33 con impresso frontalmente, il fregio di arma e specialità e numero del settore, la maschera antigas M33 o T35 che oltre a difendere da un possibile attacco chimico, garantiva, all’interno delle camere di combattimento delle opere, la protezione delle vie aree attraverso il suo collegamento, mediante un tubo corrugato, all’impianto di aerazione /filtrazione dell’aria.
Fanti della Guardia alla Frontiera sul fronte occidentale (giugno 1940)
Nelle operazioni sulle alpi occidentali (giugno 1940) furono impiegati i reparti G.A.F. dipendenti dal Gruppo Armate Ovest. Nel corso del 2° conflitto mondiale diversi raggruppamenti d'artiglieria e reparti di mitraglieri da posizione andarono a rinforzare il dispositivo di difesa costiera. Altri reparti, dislocati sul confine orientale costituirono unità di controguerriglia e di controllo delle linee ferroviarie e stradali in Croazia e Slovenia, mentre in Libia combatterono come normali reparti di fanteria.
A seguito dei noti e tragici fatti dell’ 8 settembre 1943, culminati nella firma dell’Armistizio con il conseguente dissolvimento di molti reparti del Regio Esercito, molti Settori di Copertura, soprattutto dislocati sui confini nord orientali, impegnarono duramente le truppe tedesche nella loro avanzata per l’occupazione dell’Italia, ed innumerevoli furono gli atti d'eroismo da parte dei singoli militari dei vari presidi ma, dopo brevi resistenze, anche i reparti della G.A.F. , una volta arresisi e disarmati, seguirono la stessa sorte degli altri reparti del Regio Esercito.
Con la ristrutturazione dell' Esercito Italiano, nell’immediato secondo dopoguerra, il Corpo della Guardia alla Frontiera non fu più ricostituito, ma la sua eredità venne affidata ai Raggruppamenti di Frontiera e successivamente ai Battaglioni di Alpini e di Fanteria di Arresto che vennero rimessi a presidio di quelle opere del Vallo Alpino sul fronte orientale (Trentino Alto Adige, Veneto, Friuli Venezia Giulia)dal quale si pensava potesse giungere il pericolo maggiore per allora, ovvero l’invasione militare del Nord Italia da parte delle forze meccanizzate e corazzate del Patto di Varsavia.
Una vista panoramica della vetta del Monte Chaberton (3131 mt) in Alta Valle Susa con l’omonimo forte presidiato dalla 515^ Batteria VIII Rgpt. Art. GAF.